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Il Doceno Cristofano Gherardi
PITTORE (25/11/1508 - 4/1556)
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Cristofano Gherardi
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Cristofano Gherardi detto il Doceno iniziò la sua formazione di pittore presso la bottega del concittadino Raffaellino del Colle. Al tempo della guerra tra Clemente VII e Carlo V contro i francesi abbandonò l'attività di pittore per arruolarsi nelle milizie, ma nel 1530, alla fine del conflitto, si mise come soldato nella guardia di Alessandro Vitelli a Firenze perchè forte era il suo desiderio di vedere le opere di pittura e di scultura che si trovavano in città.
Dato che Alessandro aveva saputo da Battista della Bilia che Cristofano Gherardi era un abile pittore, decise di mandarlo a Città di Castello, a lavorare di graffiti e di pitture una loggia e in un giardino, con un altro Battista sempre di Castello; ma sul momento, per vari motivi, non diede seguito al disegno.
Nel frattempo il Gherardi incontra a Firenze Giorgio Vasari (già conosciuto a Sansepolcro nel 1528), il quale lo condusse a riparare le decorazioni in Palazzo Vitelli alla Cannoniera a Città di Castello (1534-1538) insieme al Battista. I due si impratichirono durante questo restauro ed eseguirono un'opera così ben riuscita che superarono il maestro. Fu così che Cristofano Gherardi diventò collaboratore fisso del Vasari fino al 1537, quando fu costretto ad allontanarsi da Firenze per essere stato sospettato di aver preso parte ad un complotto ai danni della famiglia dei Medici; trova rifugio nel Castello Bufalini di San Giustino Umbro nel quale continua fino al 1554 la sua attività di pittore decorandone alcune stanze.
Dopo una collaborazione a Bologna e a Venezia nel 1540, nel 1542 il Vasari tornò ad Arezzo, ma Gherardi (ribelle allo stato di Firenze) tornò a San Giustino dove continuò i lavori fino al 1543, quando seguì il Vasari a Roma e perfezionò l’arte pittorica. Dopo un periodo di inattività per malattia riprese i lavori a Palazzo Bufalini.
Nel 1554 ottenne la grazia e, dopo essersi recato a Sansepolcro per consegnare la lettera al commissario e salutare i familiari, andò ad Arezzo dal Vasari che lo accolse con grande affetto e lo portò a Firenze dove iniziò la lavorazione di Palazzo Sforza.
Nel 1556 tornò a San Sepolcro per la morte del fratello dove morì in seguito ad una grave malattia ai nervi. Suo unico rammarico fu quello di aver dovuto lasciare solo il Vasari nella prosecuzione dei lavori.